A.N.A.S.

lavori di asfaltatura
since 2012

La strada è sempre stata per antonomasia, metafora dell'evoluzione dell'uomo, delle mete raggiunte e ancora da raggiungere, più aumentano le strade più il mondo ci sembra comprensibile e conquistabile. Strade, un tempo sterrate e tutte diverse, adesso asfaltate, sono tutte uguali, nere, lisce, lineari, e soprattutto, impermeabili! Sono la misura di una globalizzazione che oramai avvolge e soffoca il pianeta, su cui scorre sempre più gomma, petrolio e l’inquinamento che ne consegue. Assomigliandosi tutte, le strade asfaltate conducono verso paesaggi che risultano così, alterati, uniformati tra loro.

Quindi, per rappresentare questo processo di veloce cambiamento e perdita dei caratteri locali, nel 2012 ho iniziato a comprare ai mercatini dei quadretti di paesaggi di campagna a pochi euro per asfaltarne le strade sterrate. Questa raccolta di quadri non è solo un archivio di pittori ormai spariti o quasi, ma anche una testimonianza di come fosse il nostro paesaggio prima dell'avvento del petrolio, dell'asfalto e del passaggio di A.N.A.S.
Agli osservatori più attenti salterà all'occhio che nei quadri ci sono ancora le case, gli alberi, le strade, ma dell'uomo non c'è più traccia.

 

Searching for BP di Chiara Guidoni

Ridenti colline e piccoli borghi con strade asfaltate. È questo ciò che si vede nei dipinti di Giovanni De Gara. Ad una prima occhiata, verrebbe quasi da pensare che l’artista si sia cimentato in un esercizio di pittura en plein air. Che abbia preso cavalletto, tele e colori, sia andato in campagna e abbia iniziato a dipingere, con fare calmo e descrittivo, come tanti prima di lui, in Toscana, in Italia e in tutto il mondo, hanno fatto. Però non è così. Quei quadri appartengono tutti alla mano e all’occhio di pittori fiorentini, sconosciuti o meno, di cui si è persa la memoria, o quasi. De Gara su di essi è intervenuto con una macchia di colore, di un colore ben preciso, il nero. Ha coperto le strade che quei pittori prima di lui avevano ritratto, ognuna diversa, ognuna inserita nel proprio paesaggio e nel proprio ambiente. De Gara letteralmente le asfalta, le rende tutte uguali, tutte figlie di quel progresso che trova nella velocità e nella connettività le sue massime ambizioni. Ciò che vediamo stona con ciò che la nostra memoria riconosce. Non sono più i paesaggi rurali, tanto cari alla tradizione, in particolare quella toscana, che vede in Ottone Rosai il protagonista indiscusso, in cui la gamma cromatica attinge dai toni della terra e della natura. Si vedono in queste opere quegli stessi paesaggi, ma ci si può aspettare che da un momento all’altro passi in velocità un’automobile a mutare e sconvolgere quella pace e quell’equilibrio, che gli autori dovevano aver provato al momento dell’esecuzione. Ma sui quadri di De Gara l’automobile non arriva, non ve ne è traccia. Dopo qualche istante si inizia a percepire la pesantezza di questo silenzio, di questa immobilità. Nessuno occupa le strade, pensate e create per essere percorse e per null’altro. Perdendo il loro fine, sono svuotate di significato e ciò che lasciano ai nostri occhi si manifesta solo come segno grafico.

Se Weidlé ci dice che l’opera d’arte è una parola che viene detta da uomo a uomo, De Gara parla ad un mondo in cui l’uomo non c’è, o meglio, non c’è più. Interviene quasi serialmente. Usa sui dipinti lo stesso gesto che la globalizzazione ha usato sulla nostra terra, servendosi di quella che è la metafora massima del progresso e della capacità di avanzare dell’uomo: la strada. Strada che ci connette e abbatte tutte le differenze, gli ostacoli; strada che però è stata realizzabile solo al prezzo di soffocare tutto ciò che vi era sotto, tutti i colori, tutta la vita. Il nero dell’asfalto diventa quindi anche simbolo di morte, di una condizione in cui il cambiamento, se non ben congegnato, può divenire asfissia per i caratteri e le realtà locali, per l’identità.

In alcune opere l’artista interviene doppiamente, tramite l’inserimento di una piccola figura che possiamo identificare con una donna giapponese in kimono. Ella diventa elemento di confusione e di estraneità, quasi un punto di domanda all’interno di quei quadri in cui, prima che De Gara e la globalizzazione arrivassero, regnava la pace più assoluta. Questa piccola figura vaga e si perde, passa da un quadro all’altro, percorrendo le strade vuote alla ricerca del BP. Non ci è dato sapere la vera natura del BP. BP? British Petroleum, la società petrolifera? Black Pope, il Papa della fine del mondo? A voi la scelta. L’unica cosa che possiamo dire con certezza è che questa figura è sola, nessuno la circonda. Sembra spaesata nel percorrere questi sentieri neri in cui non si può scorgere nessun’altra traccia umana se non quella data dal risultato di un intervento precedente, un’eredità di asfalto e petrolio. Tuttavia niente è in divenire, pare tutto fermo, in pasto ad un presente che l’uomo sembra aver abbandonato.

Chiara Guidoni

ENGLISH text

Searching for BP

 

Delightful hills and small villages with asphalted roads. This is what you see in the paintings by Giovanni De Gara. At first glance one might think the artist wanted to test himself in the practice of plein air painting, bringing his easel, canvasses and colours in the countryside and starting to paint, in a peaceful and descriptive manner, just like many others did in earlier times, in Tuscany, in Italy, all over the world. But it is not so. All those paintings belong to the hand and to the vision of painters - unknown or little known - from Florence, Italy, and they are not properly famous. De Gara's intervention on those paintings is a colour spot, a very specific colour: black. He covered the roads formerly depicted by those painters, each road being different and each one connected with its landscape and environment. De Gara literally asphalts those roads and turns them all alike: the outcome of that progress that finds its ultimate ambitions in speed and connectivity. What we see clashes with what our memory recognizes. They are no longer rural landscapes, so precious to the tradition - and particularly to the Tuscan tradition with Ottone Rosai as the undisputed leading artist - and its colour range making full use of the tints of earth and nature. In the paintings altered by De Gara one sees those same landscapes but can expect a car to pass by suddenly at full speed transforming and upsetting the peace and the harmony that the authors must have felt while picturing at their time. But no car arrives in De Gara's paintings, there's no trace of it. After a while one starts sensing the weight of this silence and this stillness. There is nobody on the roads conceived and realized for being used and for no other reason. Since they lose their purpose, their meaning is missing and to our eyes they are just graphic signs.

Though Weidlé says that the work of art is a word said by a human being to another human being, De Gara talks to a world where mankind is absent or, better said, is no longer there. His intervention is almost serial. On his paintings he uses the same action that globalization used on our Earth, and he employs the utmost metaphor for progress and ability to move forward: the road. The road that connects us and tears down all diversities and each obstacle; but it is a road realized at the price of choking everything - all the colours, all the life - that was thereunder. Therefore the black colour of asphalt becomes also a symbol of death and of a condition where the change - if not well devised – can turn into oppression for the local aspects and life, for identity.

The artist makes a further intervention in some works: he adds a small figure that we can identify as a Japanese woman wearing a kimono. She becomes an element of confusion and non-involvement, almost a question mark right inside those paintings dominated by absolute peace before globalization and De Gara's arrival. Such small figure roams and gets lost, she moves from a painting to another one, walking the empty roads, searching for BP. We can't know the true nature of BP. BP? British Petroleum, the oil company? Black Pope, the Pope of the end of the world? You choose. The only thing we can say for certain is that such figure is alone, nobody is around. She looks like disoriented while walking these black paths where no other human trace can be found except for the result of a previous intervention, a legacy of asphalt and petroleum. However nothing is evolving, everything looks still, feeding a present time that looks like abandoned by mankind.

Chiara Guidoni

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https://youtu.be/UuiLQiclLis